LA CELEBRAZIONE BUDDISTA DEL VESAK IL SAKA DAWAIn Tibet e in Mongolia il capodanno si celebra il novilunio che cade alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio e così il Vaishakha, chiamato Saka Dawa, corrisponde al quarto mese dell'anno. Il 15° giorno di tale mese si celebra il Vesak, che in Tibet viene chiamato Saka Dawa, che cade generalmente tra la fine di maggio e la prima metà di giugno. Nella tradizione tibetana però, la commemorazione del Vesak - Saka Dawa, non avviene soltanto nel suddetto giorno, ma si celebra durante tutto il quarto mese (Saka Dawa infatti significa letteralmente quarto mese). Il giorno di Saga Dawa è una ricorrenza molto importante e viene celebrata ogni anno nei pressi di Darchen, sui prati dove il fiume Lha Chhu emerge nella pianura, ai piedi del sacro Monte Kailash. Pellegrini tibetani confluiscono nella zona da tutto il paese, spesso anche con parecchi giorni di anticipo, portando con sè merci e prodotti da vendere con il risultato di creare un considerevole e vivace movimento. Nel 2002, anno "Acqua-Cavallo 2129" del calendario tibetano consacrato al pellegrinaggio al monte Kailash in Tibet, hanno partecipato al Saka Dawa, tra i tibetani, provenienti dai luoghi più diversi, ed alcuni gruppi di turisti, ben 150.000 persone. Si viene a formare così un accampamento immenso e multicolore formato da tende che sembrano padiglioni di un torneo medievale o di uno stabilimento balneare! Il 15° giorno del mese di Saka Dawa, corrispondente al plenilunio, molti pellegrini tibetani praticano il digiuno. Molti osservano un digiuno di 3 giorni, ma generalmente nella tradizione tibetana il digiuno dura due giorni, il primo si ha solo il pranzo, mentre durante il secondo non si ha nulla, comincia la sera e finisce la mattina del giorno dopo. Ven. Geshe Gedun Tharchin - Nei giorni precedenti al plenilunio l'altissimo palo con le bandiere di preghiera, il Tarboche, dell'anno precedente viene abbattuto, per essere sostituito, con nuove bandiere nel giorno del plenilunio. L'antropologo Charles Allen dà una splendida descrizione dell'evento: Nella notte di luna piena del IV mese del calendario tibetano, la Montagna delle Nove Svastiche Sovrapposte brilla come una stalagmite in un cielo senza nubi. Nonostante il campo sia molto affollato, alle nove di sera il silenzio è totale. Si respira un'aria di attesa, di eccitazione contenuta che mi fa ricordare le vigilie di Natale di tanto tempo fa. La luce del giorno colpisce la nostra tenda alle sette in punto, ma sembra che tutti gli altri campeggiatori siano svegli e in piena attività già all'alba. Il fumo di centinaia di fuochi da campo si solleva come piccole piume che confluiscono in banchi di nebbia filacciosi sopra il fiume. Oggi è Saga Dawa. Dopo la colazione seguiamo la folla che si dirige verso un anfiteatro naturale a meno di 500 metri dal fiume e più in alto di almeno 300. Ci accoglie una visione straordinaria: due o tremila tibetani sono qui radunati, alcuni in piedi o accovacciati sulle pendici circostanti, ma la maggior parte stanno camminando in circolo intorno a un punto centrale. Sono talmente numerosi che sembrano una gigantesca ruota multicolore in movimento. Nello spazio aperto, all'altezza del mozzo della ruota, sta adagiato un enorme palo di preghiera in legno, fatto con diversi tronchi di pino posti uno sull'altro come il pennone di una nave. È interamente decorato con bandiere di preghiera dai colori brillanti, nuove di zecca; più o meno a metà sono attaccate quattro funi lunghe circa 600 metri, anch'esse completamente ricoperte di bandiere. Il darchen (il Tarboche) è rivolto rigorosamente verso nord e giace con la base adiacente a un buco al centro di un cumulo di pietre. Su queste pietre sta diritto il maestro di cerimonie, vestito di un magnifico abito di seta gialla con cintura rossa, che coadiuvato da un gruppo di aiutanti ha il compito coordinare la folla che deve issare il palo, chi tirandolo con delle funi, chi spingendolo con dei pali. Una dozzina di monaci dai berretti rossi, provenienti dal vicino monastero Kagyu a Gayangdrak, formano una banda di suonatori che soffiano in giganteschi corni alpini e conchiglie, e percuotono cimbali e tamburi. C'è anche un gruppo di monache buddiste che intonano preghiere e canti e si esibiscono in gesti rituali delle mani in perfetto sincronismo. L'aria è impregnata del fumo dell'incenso acceso tutto intorno, mentre coloro che eseguono le circumambulazioni camminano senza sosta in una nuvola di polvere, facendo girare con le mani le ruote di preghiera. Su segnale del maestro di cerimonia si inizia ad innalzare il palo, c'è il gruppo che tira le funi, coloro che spingono con i pali e chi lo puntella per sostenerlo via via che si alza del terreno. Ad ogni strattone gli spettatori gridano Lha-so-so! Lha-so-so! Mentre gettano in aria foglietti di carta di preghiere. Nonostante che lo si tiri con quattro funi e ci siano almeno cento persone a tirare ogni fune, è necessario ad un certo punto attaccare due funi a due camion. È fondamentale che il palo entri nel buco del terreno dalla giusta angolazione in modo di essere collocato perfettamente verticale; se dovesse essere inclinato anche di pochissimi gradi ciò comporterebbe disastri e sciagure in Tibet per tutti i dodici mesi successivi. Quando, con un ultimo strattone, il Tarboche viene messo in posizione perfettamente verticale l'intero anfiteatro esplode in grida di Lha-so-so! e lanci di fogli di preghiere.Guidati dai monaci con i loro rauchi corni, gli spettatori scendono sciamando per unirsi alla circumambulazione e tutto il luogo diventa un impressionante vortice di polvere,colore e eccitazione.Al termine della cerimonia tutti fanno la coda per prostrarsi ai piedi del darchen.Lanciano in aria manciate di farina di stampa come offerta agli dei e avvolgono le sciarpe cerimoniali intorno al tronco o a una delle quattro funi di sostegno. In molti appoggiano per qualche istante la testa contro il tronco stesso per entrare in contatto con la forza vitale di cui è ora impregnato. Charles Allen - Alla ricerca di Shangri-La - Ed. Newton & Compton 2000 - pag. 85,86,87,88 Terminata la cerimonia, mentre si riduce progressivamente il numero dei partecipanti che effettuano la circumambulazione, alcuni si mettono a danzare e cantare, altri vanno verso le proprie tende ridendo e scherzando tra loro. Questa è una rara occasione perché ragazzi e ragazze che provengono da comunità isolate possano conoscersi e sviluppare dei contatti che porteranno magari a un matrimonio. C'è quindi un'aria di festa, e nella piana alcuni cavalieri organizzano delle corse di cavallo con gare di abilità. IMMAGINI DEL SAKA DAWA Altri invece compiono un pellegrinaggio sull'altopiano sovrastante dove si trova il cimitero degli Ottantaquattro Mahasiddha o Grandi Illuminati, uno dei luoghi di sepoltura più sacro di tutto il Tibet. La sepoltura in Tibet è di tipo aereo, i corpi non vengono sepolti o bruciati, vengono deposti sulle rocce, tagliati a pezzi e dati in pasto agli uccelli selvatici, per cui il cimitero è una distesa di ossa a cielo aperto! Infine, i pellegrini si incamminano verso il Dromla-La, il passo più alto, per effettuare il Kora (circumambulazione) del sacro Monte Kailash. Il significato buddista di effettuare il giro attorno al Kailash durante il Saga Dawa è che i meriti acquisiti nel farlo vengono moltiplicati. La simbologia del TARBOCHE La leggenda del Tarboche racconta di un albero eccezionalmente alto "autogeneratosi" in questo luogo santo in quanto cimitero di lama e monaci e benedetto da Guru Rimpoche che predisse che il tronco sarebbe servito da asta per le bandiere. In realtà tale rituale è di evidente matrice pre-buddista, appartiene allo sciamanesimo Bon l'alto palo è l'albero originario, l'asse cosmico, la colonna di collegamento tra terra e cielo che unisce paradiso, terra e mondo sotterraneo.Nello sciamanesimo, diffuso in tutte le aree della terra, l'Universo viene concepito come ripartito su tre piani - Cielo, Terra, Inferi - collegati tra loro da un asse centrale. Questo asse centrale, il Pilastro del Mondo o Asse Cosmico, che è la via che lo sciamano percorre in stato estatico per muoversi attraverso i tre piani, viene rappresentato simbolicamente nelle diverse culture con una Montagna Sacra o con un Albero del Mondo. - Per approfondire questa simbologia si consiglia la lettura di: Mircea Eliade - Lo sciamanesimo - Ed. Mediterranee - cap. VIII "Sciamanismo e Cosmologia"; Mircea Eliade - Trattato di Storia delle Religioni - Ed. Boringhieri - Cap. VIII "La vegetazione. Simboli e riti di rinnovamento" -
È evidente che la simbologia della montagna sacra del Kailash e del Tarboche derivano dalla preesistente cultura sciamanica Bon. - Per approfondire questa derivazione si consiglia la lettura di: Charles Allen - Alla ricerca di Shangri-La - Ed. Newton & Compton 2000 - Il KAILASH collocato su di un piedistallo di roccia striata, con la sua cupola di neve che scintilla al sole, il Kailash con la sua forma perfetta fonde insieme gli estremi dell'ascetismo spirituale e della ricchezza e bellezza materiale. I tibetani spesso paragonano la sua vetta al tetto a pagoda della reggia di una divinità o al reliquiario di un santo. Il Kailash, La Preziosa Montagna Innevata, si erge solitario nel punto più elevato della parte occidentale dell'altopiano del Tibet, nella zona dei laghi Manasarovar e Rakas Tal. L'intera aerea è il luogo più sacro al mondo sia per gli induisti ed i buddisti, come per gli antichissimi culti sciamanici Bon. Il lago Manasarovar "Il Lago concepito nella mente di Dio", chiamato dai tibetani Mapham Tso "Il Lago ineguagliato" o semplicemente Yu Tso "Il Lago turchese", ha una forma più o meno circolare. Ha un diametro di circa 20 chilometri e ci vogliono cinque giorni per compierne la circumambulazione. Si trova a quasi 4.500 metri di altitudine ed è uno dei bacini di acqua dolce più alti del mondo e le sue acque estremamente pure ospitano molte specie di pesci ed anche delfini di acqua dolce. In tarda primavera e all'inizio dell'autunno sostano sul lago un numero incredibile di oche, anitre e gru, nel loro viaggio migratorio fra l'India e la Siberia. L'altro lago, il Rakas Tal "Il Lago Demone", è considerato dagli indù come un luogo denso di energie negative mentre per i buddisti, che lo chiamano Langak Tso "Lago delle cinque isole", è il compagno naturale del Mapham Tso. In questa zona sgorgano i quattro principali fiumi del subcontinente indiano: il Karnali, importante affluente del Gange, l'Indo, il Brahmaputra e il Sutlej. Le loro sorgenti si trovano tutte nel raggio di 100 km, da qui si diramano verso i rispettivi estuari che sono a più di 2000 km di distanza l'uno dall'altro. La Preziosa Montagna Innevata viene chiamata Kailash almeno dall'epoca in cui sono stati composti gli antichi purana indù, e per gli induisti è la dimora di Shiva che vi risiede insieme alla consorte Parvati. Shiva… è il Kailash stesso, quella cima così bianca, così generosa… Shiva è un campo di energia, una forza cosmica che, di quando in quando, adombra una creatura o un luogo, lasciando puntualmente le sue tracce nella Storia. Anne e Daniel Givaudan - Wesak: il tempo della Riconciliazione - Ed. Amrita 1992 - pag. 11
I buddisti lo chiamano Kangri Rimpoche (titolo riservato ai lama di massimo rango) "La preziosa montagna innevata" ed è la dimora della divinità tantrica Chakrasamvara e della sua consorte Vajravarahi. Gli jainisti lo adorano come Monte Ashtapada, il luogo dove il grande saggio e fondatore della religione Rishabanatha ricevette l'illuminazione. I tibetani di fede Bon, lo chiamano Tise "Gioiello di neve glaciale" oppure Yungdrung Gutseg "La montagna dalle nove svastiche sovrapposte", sul quale Thonpa Shenrab, il fondatore della religione Bön, discese sulla Terra dal cielo. Ci sono inoltre numerosi appellativi antichi, a testimonianza dell'importanza di questo monte nella storia delle popolazioni circostanti, come testimoniato in un testo Bon:
Gli dei la chiamano Dad-do Ri-rang / Alto monte degli Dei. Nel Tajik viene chiamata Gyer-rbang Hri-do / Alto monte del Bon e Ge-kod Nan-lun. Nello Shang-shung viene chiamata Ri-bo Gans-can. In India è chiamata Ma-nam sarba / Montagna d'acqua di mare. In Cina è chiamata Ta-la Ha-spu / Montagna di neve che non può essere sciolta dal sole. In Nepal e nella regione Mon è chiamata Sarba Bhi-na / Montagna di neve. In Kashmir è chiamata Sin-ha Ra-ya / Fiore d'acqua. In Uddiyana (il moderno Swat) è chiamata Ka-sar Ma-na / Montagna frutto dell'acqua. Nel Na-yab è chiamata Lan-kar Sag-pa / Montagna che sottomette i demoni. Nel Gru-gu è chiamata Ma-sangs Nan-po / Palazzo dei demoni. Nello Jang è chiamata Ka-la Yu-gsog / Grande montagna innevata. Le Divinità Nan la chiamavano Gangs-gnan Ti-se e gli Spiriti d'Acqua la chiamavano Ba-gam Tag-rtse / Bianca dimora. Charles Allen - Alla ricerca di Shangri-la - Ed. Newton & Compton Editori 2000 - pag. 56 Il KORA, la circumambulazione del KAILASH I tibetani ritengono che il Kailash sia il centro di un mandala, o sacro cerchio, che rappresenta lo spazio divino di Demchog, dove possono recarsi per apprendere la potenza e la saggezza che li renderanno liberi dalla schiavitù della sofferenza. Il pellegrinaggio alla montagna, significa quindi raggiungere il "Centro dell'Universo", il punto cosmico dove ogni cosa ha inizio e fine, la sorgente divina di tutto ciò che esiste e ha significato. I pellegrini sia i laici che i lama compiono lunghi viaggi di settimane o anche di mesi verso la montagna sacra per apprendere la rivelazione che mostrerà loro la via per trascendere le passioni e le illusioni di questo mondo. Il Kora, il percorso circolare che viene compiuto in senso orario attorno alla montagna sacra, è la meta finale del pellegrinaggio, occorrono di solito tre giorni, con frequenti soste ai santuari e ai templi per pregare e compiere riti. Alcuni pellegrini tibetani, per accrescere il merito religioso della loro impresa, impiegano molto più tempo, prostrandosi a terra lungo tutto il percorso attorno alla montagna, imperturbabili di fronte alle asperità del terreno. Il punto culminante del pellegrinaggio è il Dolma La, un valico situato sul versante nordorientale del monte Kailash ben oltre i cinquemila metri di altezza, adorno di bandiere di preghiera infilate tra rocce e massi. Appena prima del valico i tibetani lasciano indietro qualcosa di sé: un capo di vestiario, una ciocca di capelli, un dente, come simbolo della propria morte e della rinascita ad una nuova vita più spirituale. Nell'intraprendere la circumambulazione del Kailash, Lucia Sgreva, un'italiana che l'ha compiuta nel giugno del 2004, racconta: […]la cima innevata del Kailash che si staglia imponente ed inviolata contro l'incredibile azzurro del cielo del Tibet …è una visione che mi commuove: dentro di me sorge spontaneo il bisogno di prostrarmi, anche se non sono buddista. Mentre appoggio la fronte a terra decido di dedicare il mio Kora ad un caro amico, un monaco tibetano fuggito giovanissimo dal suo Paese ed ora costretto a rientrarvi, correndo gravi pericoli, per poter dire addio al padre gravemente ammalato. Un falco vola sopra le nostre teste e noi vogliamo vedere in ciò un benvenuto ed un segno di buon auspicio. […] Dal margine del terrazzamento che ospita il cimitero celeste scorgo, oltre la sottostante valle, abbarbicato tra le rocce, il Choku Gompa, uno dei cinque monasteri del Kailash, tutti distrutti nel corso dell'occupazione cinese. …Visitiamo l'interno del monastero e ci mettiamo in fila con gli altri pellegrini per ricevere la benedizione da uno dei monaci. Gli porgiamo una kata che viene avvolta intorno ad una conchiglia e poi appoggiata sulla nostra fronte. Anche se questa non è la nostra fede, nei luoghi dove la devozione è così forte e sincera, viene spontaneo ripetere con i tibetani i loro gesti così sentiti e così semplici. Quando ci ritroviamo al campo per la cena riceviamo notizie preoccupanti: non avremo gli yak necessari per il kora, potremo forse contare su cinque sei portatori tibetani; inoltre sono previsti scioperi a Kathmandu e corriamo il rischio di perdere il volo di ritorno. Si apre fra di noi una breve discussione: qualunque sia il motivo che ci ha portato quassù non torneremo indietro senza avere compiuto il pellegrinaggio intorno al Kailash. Domani si parte, al resto penseremo dopo. La luna piena splende sopra la Montagna Sacra, sopra il Tarboche e sopra le nostre tende. Dal sito SPAR-TREK Una descrizione accurata della circumambulazione del Kailash, anche della durezza del percorso dovuto all'estremo freddo ed altitudine (si arriva oltre i 5500 metri), la dà Charles Allen nel suo libro Alla ricerca di Shangri-la - Ed. Newton & Compton Editori 2000.
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